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?️ Durante la Nakba del 1948, quando i gruppi para-militari israeliani attaccarono la popolazione palestinese costringendo 750mila persone ad abbandonare le terre in cui vivevano da generazioni, molti portarono con sé le chiavi di casa impegnandosi a tornarvi il prima possibile. Quell’oggetto, la chiave, da allora è diventato uno dei simboli del popolo palestinese, oppresso dal regime di occupazione israeliano da un lato e instancabilmente impegnato nell'esercizio della propria auto-determinazione dall’altro.
?? Sono passati 76 anni dalla Nakba ma per il popolo palestinese ancora non è stato possibile far ritorno nelle proprie case. Il progetto sionista di colonizzazione prosegue, assumendo oggi le forme del genocidio a Gaza e della violenza dei coloni in Cisgiordania. Eppure, l* palestinesi non hanno mai smesso di resistere, in forme molteplici e tutte legittime, per poter un giorno vivere nella propria terra senza checkpoint o muri, per poter vedere finalmente il mare e tornare nelle proprie case. L’arte è sicuramente uno dei molti modi in cui si è sviluppata la resistenza palestinese di fronte a un nemico che vorrebbe negarne anche solo l’esistenza come popolo. Attraverso la poesia, la danza e la musica, generazioni di artisti hanno raccontato al mondo cosa voglia dire vivere sotto occupazione o nella diaspora, ma anche quali sono le aspirazioni e le lotte che danno forma al desiderio di una Palestina libera.
?È ormai passato quasi un anno dal 7 ottobre 2023. Il genocidio a Gaza prosegue mentre le possibilità di un cessate il fuoco si affievoliscono; in Cisgiordania invece si fa sempre più esplicito il tentativo da parte israeliana di annettere formalmente nuovi territori. Pensiamo, dunque, che sia fondamentale prendere posizione e continuare a parlare di Palestina per smontare quella retorica razzista di molti media occidentali che prende di mira l’occupato invece dell’occupante, per boicottare qualsiasi complicità delle nostre istituzioni con il regime sionista, per opporsi alle forme dilaganti di fascismo e suprematismo di cui il governo Netanyahu è un esempio, per fare i conti con vecchi e nuovi colonialismi.
? Al Miftah è quindi un festival di parte che mette al centro l’amore del popolo palestinese per la propria terra, incarnato dal simbolo della chiave, come esempio di lotta per l’emancipazione da qualsiasi forma di oppressione. Un festival che parla di Palestina tramite i corpi e le voci di artist* e attivist*, in primis palestinesi. Un festival per immaginare un mondo senza razzismo, colonialismo e sfruttamento.
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